Mi sono fermato stamane ad ascoltare una docente del Politecnico di Milano, mentre alla trasmissione Agorà su RAI 3 esaltava gli aspetti ingegneristici e architettonici del ponte Morandi di Genova. E’ vero che sono di bocca buona e mi entusiasmo con molta fatica, ma questa apoteosi l’ho ascoltata con sorpresa, benchè già dei colleghi ingegneri me l’avessero descritta come una delle meraviglie della contemporaneità.
Per me un progetto non può e non deve rispondere solo ad una ricerca di ardite soluzioni tecniche. E’ stato detto che era, sotto l’aspetto strutturale, leggerissimo; forse troppo, visto che alla fine non ce l’ha fatta. Magari mi condizioneranno molto la visione, l’aspetto creativo, il sogno, l’interpretazione di un’architettura, l’evocazione, che in questo non sono riuscito a percepire. Vedo invece un rincorrersi di telai e tiranti, tutti in cemento armato e atti a rispondere alle varie tipologie di sollecitazioni statiche e dinamiche, che all’epoca vennero osannati per il loro ardimento, ma duramente contestati da quegli abitanti che si videro imporre con violenza una convivenza assurda, psicologicamente molto labile, la sudditanza all’ingegneria di una intera città. Certo, c’era da risolvere l’attraversamento di Genova dalla geomorfologia estremamente critica, ma davvero già allora l’elemento umano non poteva e doveva essere considerato con maggiore attenzione?
Il progetto strutturale: calcolato e realizzato correttamente? Leggevo ieri che in ogni ponte realizzato c’è SEMPRE almeno un errore che prima o poi emerge. E oggi è emerso che lo stesso ing. Morandi aveva solo pochi anni dopo la realizzazione denunciato la criticità della veloce usura: era un’autodenuncia, si era reso conto di errori? La progettazione di una struttura così complessa e destinata a durare nel tempo non dovrebbe includere i costi di manutenzione e le modalità per realizzarla? Aggiungendo che, mentre nei ponti in acciaio l’ossidazione è verificabile già a vista d’occhio, nel ponte crollato era tutto in cemento armato, materiale che a quell’epoca veniva ritenuto pressochè eterno ma poi ha mostrato i suoi limiti estremi, tanto che oggi si dà per acquisito che una struttura di tale tipologia non vada oltre i cinquant’anni di sicurezza.
Infine, le responsabilità. L’inferno da stadio scatenato in questi giorni da posizioni settariche mi induce a non tornare sulle responsabilità politiche. Quelle tecnico-amministrative sono su più fronti: dai docenti di università e politecnici che avevano espresso le loro preoccupazioni limitandosi al minimo sindacale, a chi nelle varie amministrazioni avrebbe dovuto leggere con maggiore attenzione i documenti che riceveva prima di far trascorrere lunghe attese prima di passarli ad altra scrivania. Più passano i giorni e più emergono documenti incredibili, filmati, immagini: tutto va nella direzione di un disastro annunciato, da decenni incubo di una intera città e che si sarebbe potuto evitare.
E mentre le questioni continuano a veleggiare tra le sponde politiche, economiche e amministrative, una città che ha abbracciato i suoi morti e anche quelli che suoi non erano, attende in stand-bye la soluzione alla criticità delle abitazioni coinvolte e da abbattere e piange di rabbia per essersi trovata davanti all’esigenza di bruciare i tempi delle problematiche trasportistiche, dopo che decenni sono stati fatti scorrere inutilmente.
Genova e l’Italia si rialzeranno o crolleranno insieme.
Arch. Eugenio Lombardi