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Il ponte Morando

Ogni volta che uno dei 25 milioni di veicoli che ogni anno utilizzavano il ponte Morandi esprimeva fiducia in questo grandissimo architetto. Romano, portatore di quella religione della modernità che ha deificato le invenzioni come quella del cemento armato che dopo un po’ si è scoperto che hanno sempre controindicazioni terribili. Il “nostro” come quasi tutti a quell’epoca era fissato proprio per il cemento armato; il nuovo Dio e come tale eterno. Come i sostenitori del “eternit” o della plastica anche questi pensavano di aver trovato la scorciatoia per arrivare prima e a buon mercato a poter costruire l’impossibile con poca spesa e sfidando l’eternità. Una imbecillità totale che però non ha insegnato niente e ancora oggi la religione della ricerca tecnologica imperversa indisturbata; se appena rilevi che nessuna, dico nessuna, delle invenzioni non abbia portato iatture almeno pari ai vantaggi, passi per ignorante ed arretrato.

Noi pensiamo che se è vero che i tecnici come Morandi hanno meritato un consenso così generalizzato, dovrà essere vero che anche altri tecnici andrebbero ascoltati:

“Il problema del ponte Morandi è che i tiranti sono stati costruiti in calcestruzzo e non in metallo, e che negli anni Sessanta non si metteva in conto che il calcestruzzo si degrada e poi collassa. Cinquant’anni fa c’era una fiducia illimitata nel cemento armato. Si credeva fosse eterno. Invece si è capito che dura solo qualche decennio”. A spiegarlo è l’architetto genovese Diego Zoppi, ex presidente dell’Ordine genovese, oggi membro del Consiglio nazionale degli architetti. “L’ingegner Riccardo Morandi era un grandissimo strutturista, ma col ponte sul Polcevera ha voluto forzare la mano staticamente – spiega Zoppi -. Un ponte strallato è sostenuto da tiranti di metallo. Morandi, con la sua grande competenza in fatto di statica, volle farli in calcestruzzo. E’ una soluzione ardita, perché il cemento lavora in compressione, mentre in trazione si usa il metallo. Il suo ponte era finito sulle riviste specializzate per questo”. “Quello di cui non si teneva in conto all’epoca – continua Zoppi – è che, con le continue vibrazioni del traffico, il cemento si microfessura, e lascia passare l’aria, che raggiunge la struttura interna di metallo e la fa ossidare. Viene quindi meno la funzione originaria del cemento, che dovrebbe proteggere l’acciaio. Il ponte per questa ragione ha sempre richiesto grossi lavori di manutenzione. Era molto costoso da gestire”. Per l’architetto “l’Italia costruita negli anni ’50 e ’60 ha urgente bisogno di ristrutturazione. Il pericolo di crolli è sottostimato. I manufatti costruiti in quell’epoca stanno arrivando a un’età in cui diventano a rischio”.(ANSA 14.8.18)

Quindi i tecnici non sono univocamente affidabili neanche quando non si leva alcuna voce di dissenso come appunto accadeva negli anni della costruzione selvaggia in cemento armato. Poi il destino si incarica di ricordare che siamo mortali e quindi che anche le nostre opere lo sono, specie quelle ad alto contenuto tecnologico. Ed assistiamo a disastri impressionanti come quello di oggi che ricorda la fine dei dirigibili, considerati il futuro del volo umano ma che naufragarono miseramente con il disastro del Hindenburg nel 1937.

Siamo quindi arrivati alla fine dichiarata dell’era del cemento armato e quindi si apre il periodo della riconversione delle opere realizzate con questo materiale in altro. Servono soldi, fiumi di soldi mentre altri soldi servono per prevenire disastri idrogeologici e per arginare i problemi sociali…

Alla fine non accadrà nulla se non ad affidare a tecnici di oggi il compito di tamponare alle meno nascondibili fesserie dei tecnici di ieri….i morti di oggi saranno morti inutili..

E la povera gente ne continuerà a fare le spese…

 Canio Trione

Vice direttore Il Corriere Nazionale

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