Principale Arte, Cultura & Società Quell’idea di comunità che fa il Cristianesimo

Quell’idea di comunità che fa il Cristianesimo

I cinquantacinque anni di sacerdozio di don Francesco Disciglio

Una concelebrazione con tutti i parroci della città e esterni, presso la chiesa di S. Maria del Caroseno, ha festeggiato il 55esimo anniversario dell’ordinazione sacerdotale di don Francesco Disciglio (parroco emerito della stessa parrocchia). Vi hanno partecipato anche don Daniele Troiani (ex viceparroco del “Caroseno” e, successivamente, di “San Leone Magno”, attuale parroco di “S. Domenico” in Putignano) e i castellanesi don Stefano Mazzarisi (parroco arciprete di “Maria SS. Della Natività” in Noci) e don Donato Rizzi (parroco del “Sacro Cuore” in Conversano).

Abbiamo rivolto alcune domande a don Francesco, alle quali ha risposto con schiettezza e sottile ironia, aspetti caratteriali che da sempre lo contraddistinguono.

Qual è il ricordo più intenso che conservi della tua ordinazione sacerdotale?

Sicuramente l’aver avuto la fortuna di essere ordinato dall’allora Arcivescovo di Milano, card. Giovanni Battista Montini (futuro papa Paolo VI, ndr). Una persona apparentemente austera, ma, nella realtà quotidiana, molto semplice e disponibile al dialogo.

Dove fosti trasferito subito dopo l’ordinazione?

Inizialmente a Troia, in provincia di Foggia e, qualche tempo dopo, a Cavallino, un piccolo paese a pochi kilometri da Lecce, dove sono rimasto sei anni.

In che anno la congregazione, alla quale appartenevi (missionari comboniani del Cuore di Gesù, ndr), decise di mandarti in missione?

Nel 1972 fui inviato ad Agua Doce, in Brasile.

Ci descrivi brevemente la realtà, in cui ti trovasti a vivere e operare?

La mia parrocchia comprendeva un territorio molto vasto, sebbene il numero di abitanti fosse pari a circa 20.000. Sparse nel territorio vi erano diverse comunità, che facevano capo alla parrocchia di riferimento. Pensate che, negli anni ’70, il ruolo svolto dai laici, in queste zone del Brasile, era molto importante e ciò era dovuto essenzialmente all’impossibilità del parroco di essere presente contemporaneamente in tutte le comunità parrocchiali. Ad esempio, non si celebrava Messa ogni domenica, in ciascuna cappella: le distanze erano enormi (centinaia di kilometri) e, allora, bisognava stabilire dei turni; di conseguenza, in assenza del parroco, le comunità dovevano essere in grado di autogestirsi. I ministri straordinari dell’Eucaristia provvedevano alla distribuzione delle ostie già consacrate e la liturgia domenicale verteva in particolar modo sulla Parola di Dio.

Nel corso della tua esperienza in Brasile, avrai avuto certamente modo di conoscere da vicino la “teologia della liberazione”, quella corrente di pensiero teologico progressista, che si contrapponeva all’oppressione e allo sfruttamento perpetrati dalle varie dittature militari, nei confronti delle popolazioni dell’America Latina…

Io ho avuto modo di conoscere Leonardo Boff, uno dei principali esponenti della teologia della liberazione e, una volta, abbiamo anche pranzato insieme. La cosa che più mi stupisce è che fossimo perfettamente d’accordo su tutto! Ricordo ancora una sua affermazione: ‘Si concepisce la Chiesa come chiesa del ricco per il povero, ma non con il povero’. Una frase di grande attualità.

Cosa conservi, oggi, di questa particolare esperienza?

Anzitutto, ricordo con piacere la semplicità, l’ospitalità e la grande umiltà di quella gente. L’esperienza brasiliana, inoltre, mi è servita per maturare la mia personale idea di comunità, che si basa essenzialmente sulla collaborazione, resa possibile anche da una maggiore responsabilizzazione dei laici. Come sarebbe bello se ogni giovane sacerdote decidesse di mettere alla prova la propria vocazione e la propria fede, andando, per qualche anno, in missione!

Non nascondiamo di esserci commossi nell’ascoltare le parole di don Francesco, così vere e vicine al cuore della gente. Se dovessimo riassumere i 26 anni, in cui è stato parroco del “Caroseno”, metteremmo certamente in luce il suo zelo nel condurre la comunità, ma, soprattutto, la sua disponibilità al dialogo e la sua grande umanità. Valori, questi, perfettamente in linea con il pontificato di Francesco, ma, a quanto pare, sempre più rari.

Sebastiano Coletta

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