Principale Attualità & Cronaca Erano pronti al martirio, fermati due lupi solitari

Erano pronti al martirio, fermati due lupi solitari

di Elvira Terranova

Si era fatto crescere la barba lunga, si faceva chiamare da tutti ‘Yusuf’ nonostante fosse palermitano, postava video che inneggiavano all’Isis e si faceva selfie tenendo in mano un coltellaccio da cucina e che chiamava il suo ‘amico 26 cm’. E, con ogni probabilità, era pronto al martirio con un attentato terroristico. Insieme con il suo amico, un giovane marocchino conosciuto sul web, appena maggiorenne, parlavano di Jihad, di ‘miscredenti’ che andavano “puniti”. I due, il camionista palermitano di 26 anni e il marocchino di 18 anni appena, che vive da sempre in Italia, sono stati fermati all’alba di oggi dalla sezione Antiterrorismo della Digos di Palermo, su richiesta della Procura che temeva la fuga all’estero dei due indagati. Gli inquirenti per molto tempo hanno intercettato le telefonate e gli incontri di ‘Yusuf’, personaggio chiave dell’inchiesta, e non escludono che i due fossero pronti anche a un attentato. “Vi è il pericolo più che concreto che gli stessi, qualora rimangano in libertà, commettano gravi delitti ed anzi ancora più gravi rispetto alle fattispecie in materia di apologia e istigazione con la concreta e diretta commissione di attentati terroristici”, scrivono il procuratore aggiunto Marzia Sabella e il pubblico ministero Geri Ferrara che hanno coordinato l’indagine. In una intercettazione via chat, ‘Yusuf’, che in questa occasione parla di sé in terza persona, racconta all’amico di volere fare “un casino in autostrada“. “Mi sono preso troppo di collera, ho sbagliato due volte strada. Mancava poco e Yusuf faceva un casino in autostrada”. Cosa voleva dire ‘Yusuf’? Parlava di un attentato?.

I due erano in costante contatto attraverso i social, da Facebook a Instagram. Discutevano su come fasi crescere barba e capelli, alla maniera dei “mujaheddin, ma soprattutto su come addestrarsi alla guerra santa”. Avevano anche pensato di partire per la Siria, al fianco dei miliziani dell’Isis. “ll martirio è il miglior modo per morire”, dice il 26enne all’amico. Quest’ultimo gli fa vedere un video, dove viene ripreso un miliziano islamista, colpito da un’arma da fuoco. Con la didascalia in lingua araba ”loro hanno sacrificato le loro anime per questa religione. Loro sono un popolo che ha lasciato il mondo terreno per conquistare il Paradiso”. “Miglior modo per morire o no?”, dice uno all’altro. “Migliore, questo è sicuro”. “Che Allah non ci neghi questa possibilità”. Per gli inquirenti “l’azione di indottrinamento”, compiuta dal 18enne e l’approvazione da parte del 26enne delle azioni di martirio, propagandate dall’organizzazione terroristica Isis emergeva in chat”. Il 26enne “manifestava il proprio desiderio di unirsi ai fratelli combattenti”, spiegano gli inquirenti, “dicendo che per lui questo sarebbe stato un regalo da parte di Allah, in quanto non si riconosceva nella società in cui viveva, aggiungendo che grazie a tutti coloro che combattono per lo Stato Islamico, la sua fede avrebbe subito una forte scossa”. La madre del 26enne da mesi era molto preoccupata per il figlio convertito. Confidandosi con un’amica al telefono, senza sapere di essere intercettata, la donna diceva: “Perché io ho mio figlio che lo devo tenere buono (calmo, ndr.) perché mio figlio mi può pure scappare da casa, dove se ne va? Con chi si accompagnerebbe? Perciò io me lo deve tenere buono perché io non posso dire certe cose perché per lui è sbagliato, quando io sento dire che il signore Gesù è un profeta io mi sento lacerare il cuore”. “Mah…”, le dice l’amica. “Perciò io gli ho detto che di religione in questa casa non se ne deve parlare”.

E un giorno, la donna, insieme con il marito, preoccupati per le sorti del figlio, così cambiato negli ultimi tempi, ne parlano anche con lui. Come emerge da una intercettazione ambientale. La vicenda era scaturita dal futuro fidanzamento con una giovane marocchina conosciuta sul web. ‘Yusuf’ aveva comunicato ai genitori che, secondo le usanze della cultura islamica, non avrebbe potuto frequentare e vedere la ragazza sino al giorno della loro unione in matrimonio e, incalzato dai genitori, in tono adirato, ha difeso la cultura islamica e le sue tradizioni, aggiungendo che un giorno, “quando avrebbe avuto una figlia, la avrebbe educata secondo i rigidi dettami della religione islamica ortodossa”. La madre del ragazzo, al contrario, consigliava al figlio, che se avesse avuto una figlia, di delegare loro il compito di educarla, i quali la avrebbero cresciuta nel rispetto di sani principi. L’argomento ha poi scatenato una furiosa presa di posizione del 26enne il quale così rispondeva ai suoi genitori: ”Se me la cresci… se me la cresci tu, come fate crescere le femmine vostre mi costringete ad andarmene in carcere! Mi mandate voi con le vostre mani in carcere a me(incomprensibile) a tagghiari a tiesta” (devo tagliarle la testa)”. I due, secondo gli investigatori, che per mesi hanno scandagliato ogni movimento dei due giovani, prima del fermo, godevano “di una fitta rete di referenti dislocati in diversi continenti (Africa, Europa ed Stati Uniti) con cui gli stessi sono in contatto e che immediatamente potrebbero aiutarli a rendersi irreperibili ovvero a recarsi in Paesi quali la Siria o il Marocco ove non vi è alcuna concreta possibilità di estradizione”. Da qui la necessità di procedere al fermo, senza attendere la misura cautelare, per pericolo di fuga imminente.

Durante i loro colloqui, sia via chat che al telefono, i due indagati, parlavano spesso della loro radicalizzazione: “Nell’Islam non esiste porgere l’altra guancia”, scriveva in chat il 18enne. “La legge di Allah si applica con la spada, e bisogna essere crudeli con i traditori e con i ribelli”, diceva. E l’amico rilanciava: “Odio i miscredenti, violenza contro di loro”. E, nel frattempo meditavano di creare una “comunità di veri musulmani”. “E’ evidente come queste condotte sono indiscutibilmente collegate alle nuove forme di operatività dell’estremismo islamico, non più connotato dalla formale appartenenza ad associazioni criminali strutturate in ‘cellule’, bensì volto al reclutamento di soggetti, più o meno isolati tra loro (i cosiddetti Lupi solitari), che nei paesi d’origine combattano una vera e propria guerra”. Secondo la Procura il giovane marocchino, avrebbe “istigato” il 26enne a “compiere delitti contro la personalità internazionale e interna dello Stato” e, segnatamente, i delitti di terrorismo internazionale, “inviandogli attraverso strumenti informatici e telematici materiale di propaganda dello Stato Islamico, informazioni relative ai combattimenti in corso in Siria, canti di guerra, video propagandistici e di combattimenti, vessilli e immagini di guerre, e invitandolo ripetutamente ad addestrarsi per recarsi a combattere nei territori occupati dallo Stato Islamico”. Il suo fermo è stato eseguito nella provincia di Novara dagli agenti della Digos palermitana, con l’ausilio dei colleghi dell’omologo Ufficio della Questura di quel capoluogo. Mentre il palermitano è stato arrestato a Bernareggio, in provincia di Monza. Ma il giovane era residente a Palermo, dove vivono anche i suoi genitori.

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