Principale Ambiente, Natura & Salute Lettera aperta‎ sull’uva da tavola che dal produttore al consumatore

Lettera aperta‎ sull’uva da tavola che dal produttore al consumatore

TARANTO – In alcuni supermercati del nord si vende l’uva da tavola a prezzi che partono da euro 2,10 (varietà superior senza semi con peduncolo nero, perché raccolta da diverso tempo e conservata in frigo) fino a raggiungere euro 3,78 (varietà pizzutella) per ogni chilogrammo.

Preciso che attualmente il prezzo di acquisto alla pianta di uva da tavola, varia da euro 0.35 a 0,90 per chilogrammo a seconda il tipo e la qualità.

‎Produrre uva da tavola tenendo conto della varietà, dell’epoca di maturazione, ed eventuali certificazioni ha un costo variabile da 0,35 a 0,50 euro per chilogrammo.‎

‎Da quando l’ortofrutta è stata inserita come prodotto da offrire al consumatore negli scaffali della GDO accade che il prezzo di vendita subisce variazioni considerevoli tra il produttore e il consumatore.‎
‎Negli anni novanta la diffusione di tale sistema di vendita ha fatto ipotizzare a qualche esperto che questa operazione avrebbe determinato un doppio vantaggio: una diffusione capillare di offerta del prodotto (aumento dei volumi commercializzati), maggiori opportunità per i produttori e avvicinamento tra il produttore e il consumatore, di conseguenza tagli dei costi intermedi.
‎A distanza di tanti anni analizzando i fatti, senza ombra di smentita alcuna si può tranquillamente affermare che la situazione è peggiorata sia a scapito del produttore che del consumatore, per le ragioni di seguito evidenziate.

Le fasi intermedie tra la produzione e la presentazione del prodotto sugli scaffali si sono organizzate arrivando ad un paradosso che le lavorazioni post-raccolta (confezionamento, trasporto, servizi vari) costano più della materia prima che l’agricoltore impiega mesi e mesi di duro lavoro per produrre.

Lasciando il prodotto ortofrutticolo negli scaffali senza alcun presidio fisso (il vecchio fruttivendolo/ortolano) ogni consumatore è autorizzato a toccare, scegliere e prelevare la merce che deve acquistare.

Al termine della giornata, trattandosi di merce altamente deperibile, una percentuale considerevole di quel prodotto deve essere “buttata”, perché risulta danneggiata dai vari “tocchi e ritocchi“ delle centinaia di persone che si fermano in quel reparto.‎

‎Senza parlare poi di qualche consumatore che ritenendo di essere furbo dopo aver prelevato, pesato e prezzato il prodotto scelto, poiché il sacchetto è stato volutamente lasciato aperto, ripassa dallo scaffale e aggiunge altro prodotto senza pesarlo (furto di prodotto).

Inoltre, l’ortofrutta in molti casi diventa il cosiddetto “specchietto per le allodole”‎, in quanto si utilizzano le offerte dei prodotti agricoli a basso prezzo per richiamare l’attenzione del consumatore che acquista altri beni presenti nella GDO.

Tempi lunghissimi nei pagamenti delle forniture fatte alla GDO.

A ciò si aggiunge il sistema delle doppie aste che riduce ulteriormente i prezzi dei prodotti agricoli favorendo la GDO che gioca sui grandi volumi di prodotto da acquistare.

L’ex Ministro Martina del precedente governo, a giugno 2017 annunciò la firma di un protocollo di intesa per un “patto d’impegno” ‎con i rappresentanti di Federdistribuzione e Ancd Conad, allo scopo di promuovere un codice etico e la messa in atto di pratiche leali lungo tutta la filiera agroalimentare, partendo dalla rinuncia alle aste elettroniche a doppio ribasso per l’acquisto di prodotti agricoli e agroalimentari.

Purtroppo ad oggi le aste sono ancora una triste realtà.

Questa situazione sta determinando la drastica riduzione del reddito delle aziende agricole e la chiusura delle stesse, che non riescono più a trarre un reddito dignitoso dall’attività.

Tutto ciò contribuisce allo sviluppo del fenomeno del lavoro nero e del caporalato.

È giusto salvaguardare il lavoratore ed i suoi diritti.

È opportuno tutelare il consumatore  dalle frodi e dalle speculazioni sui prezzi.

È altrettanto giusto, opportuno e sacrosanto prendersi cura di colui il quale crea opportunità di lavoro per l’operaio agricolo e investe risorse proprie per produrre e fornire giornalmente beni di prima necessità per il consumatore.

Ad ognuno va riconosciuto il giusto ruolo e la corretta remunerazione.

Non si può restare inermi ad osservare mentre tutto va in rovina; continuando di questo passo con la chiusura delle aziende ortofrutticole e quelle zootecniche viene meno il presidio del territorio da parte dell’agricoltore. Il territorio diventa un deserto.

Occorre evitare che i giganti della grande distribuzione, forti dei volumi movimentati, siano coloro i quali stabiliscono la vita o la morte di un settore in nome del profitto.

Con coraggio chiediamo a gran voce di far uscire l’ortofrutta  fuori dalla GDO, dagli ipermercati e supermercati, tornando a valorizzare i mercati locali degli agricoltori, la vendita diretta in campagna, i fruttivendoli di quartiere, i mercati all’ingrosso e tutte le altre forme alle quali negli ultimi venti anni abbiamo rinunciato in nome della modernità.

Non si può continuare a fare competizione basando tutto, solo ed unicamente sul prezzo: si rischia di perdere tutti i riferimenti ambientali, di qualità e di sostenibilità e ciò favorirebbe la scomparsa dalla scena dei produttori ortofrutticoli italiani. Occorre agire prima che sia troppo tardi.

Vito Rubino (Direttore CIA Area Due Mari Taranto-Brindisi)

 

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